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Navigare a vista nella tempesta perfetta dell'auto: tra mercati stagnanti e una transizione sbagliata
Indice dei contenuti
Benvenuti alla 42a edizione di Autotech Italia !
Torno da voi con un pò di ritardo ma con un articolo molto interessante con il secondo contributo dal Motor Valley Fest 2025.
Oggi è il turno dell’intervento di Gianluca Di Loreto, Partner di Bain & Company, che ringrazio personalmente per avermi dato la possibilità di diffondere i suoi “numeri” che ha letteralmente dato a Modena e all’evento di ANIASA del giugno scorso.
Nel bel mezzo di questa tempesta perfetta per noi europei, l’unica certezza sono i numeri.
Buona lettura!
🔥 Novità: a partire da questo numero ho inserito la versione audio della newsletter da poter ascoltare comodamente dal cellulare su Youtube con una piccola sorpresa… ditemi cosa ne pensate nei commenti 🫢
"Parlare con i numeri". Non c'è un'espressione più adatta per descrivere l'attuale momento del settore automobilistico, un'industria che per decenni ha vissuto di certezze granitiche e che oggi si ritrova a navigare in una nebbia fittissima.
Quella che stiamo vivendo non è una transizione lineare verso un futuro definito, ma una caotica "non-transizione".
Come evidenziato dalle lucide analisi di Gianluca Di Loreto, Partner di Bain & Company, ci troviamo in un limbo pericoloso, sospeso tra la fine di un'era di crescita globale, l'acuirsi di tensioni geopolitiche che ridisegnano le mappe della produzione e del profitto, e una spinta verso l'elettrificazione che, dati alla mano, si sta rivelando un clamoroso errore strategico in Europa e soprattutto in Italia.
Le vecchie regole non valgono più. La crescita economica non traina più le vendite di auto, i dazi sono diventati un'arma di sopravvivenza e i consumatori, pur usando l'auto più di prima, hanno smesso di comprarla. In questo scenario, l'unica bussola rimasta è quella dei dati, per quanto scomodi possano essere. È tempo di "scendere a patti con la realtà" e capire le nuove dinamiche di un gioco che si è fatto improvvisamente complesso e spietato.
La fine di un'era: stagnazione globale e il grande disaccoppiamento
Il primo, ineludibile, dato di fatto è la fine della corsa. L'epoca d'oro della crescita ininterrotta del mercato automobilistico globale è terminata.
Se tra il 2001 e il 2017 il settore viaggiava a un ritmo sostenuto del +3,3% annuo, le previsioni fino al 2030 dipingono uno scenario di stagnazione quasi totale, con un tasso di crescita annuo composto (CAGR) di appena lo 0,2%.
Ma il fenomeno più allarmante, quello che segna una rottura epocale, è il "grande disaccoppiamento". Per oltre vent'anni, la produzione di automobili ha seguito fedelmente la curva di crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) globale.
Era una legge non scritta: se l'economia mondiale tirava, il settore auto prosperava. Questa correlazione si è spezzata con la pandemia. Mentre il PIL ha ripreso la sua corsa, la produzione di veicoli è rimasta drammaticamente indietro, a testimonianza di una crisi molto più profonda di una semplice flessione congiunturale.
Questo significa che la salute dell'economia generale non è più un salvagente per l'industria dell'auto, che ora deve lottare con demoni interni: prezzi fuori controllo, normative stringenti e una tecnologia (l'elettrico) che non convince.
A questo si aggiungono due macrotendenze che zavorrano ulteriormente il settore: la decrescita strutturale dei mercati maturi, con un'Europa che fatica a riprendersi dal Covid, e la saturazione del mercato cinese, che non può più agire da locomotiva per i bilanci dei costruttori occidentali.
Scacchiere geopolitico: dazi, debolezze e il gioco dei "profit pool"
La nuova geografia economica dell'auto vede al centro della tempesta gli Stati Uniti, definiti il "grande malato" delle relazioni commerciali. L'aggressiva politica dei dazi non è un capriccio, ma la reazione disperata a decenni di declino della propria base manifatturiera, passata da quasi il 30% del PIL e degli occupati nel dopoguerra a circa il 10% oggi.
Questo svuotamento ha creato uno squilibrio colossale, trasformando la Cina nell'unica, grande fabbrica del mondo e gli USA nell'unico, grande acquirente, con un deficit commerciale spaventoso.
I dazi sono un tentativo di proteggere il mercato interno, anche a costo di una guerra commerciale che danneggia tutti. In questo scenario, non basta più contare le auto vendute; è fondamentale analizzare i "profit pool", le riserve di profittabilità. Non conta dove vendi, ma dove guadagni.
E qui emergono le diverse vulnerabilità strategiche:
i costruttori tedeschi, che per anni hanno generato fino al 60% dei loro profitti in Cina, oggi pagano il prezzo di questa dipendenza;
gli americani, ritiratisi dalla Cina, dipendono per il 60-70% dal solo mercato nordamericano, una strategia rischiosissima che li lascia "con una gamba sola";
gli unici a mostrare una reale resilienza sono i giapponesi, grazie a una diversificazione geografica dei profitti che agisce come un portafoglio di investimenti ben bilanciato, capace di assorbire gli shock provenienti da una singola regione.
Il paradosso del consumatore italiano: voglia di auto, paura di acquistare
Ma veniamo alle cose di casa nostra.
In questo quadro globale, l'Italia rappresenta un caso di studio emblematico. L'automobile è tornata prepotentemente al centro delle abitudini di mobilità, utilizzata dall'80% degli italiani.
Eppure, a questa rinnovata centralità corrisponde un gelo sul fronte degli acquisti. La quota di chi non ha nemmeno preso in considerazione l'acquisto di un'auto nuova è schizzata a un impressionante 62%.
Le ragioni sono sotto gli occhi di tutti e sono state brutalmente confermate dai numeri:
i prezzi di listino sono esplosi, segnando un +52% dal 2013, a fronte di una crescita del reddito medio di appena il +29%. Un divario insostenibile che, unito all'incertezza economica generale, ha paralizzato il mercato;
i consumatori non sono più disposti a svenarsi per un bene che percepiscono come troppo costoso e la cui tecnologia è in una fase di incertezza totale;
di fatto si naviga a vista, si attende un calo dei prezzi che potrebbe non arrivare mai, e nel frattempo si tiene stretta l'auto che si ha già, con buona pace del tanto sbandierato rinnovo del parco circolante.
Il fallimento della transizione elettrica: "abbiamo ucciso il paziente sbagliato"
È sulla transizione energetica che si consuma il dramma più grande, un potenziale errore strategico di proporzioni storiche. La frase di Di Loreto, "abbiamo ucciso il paziente sbagliato", è una sintesi perfetta e spietata della realtà.
Per un decennio, la politica e la comunicazione hanno demonizzato il motore diesel, facendone crollare la quota di mercato dal 56% a un misero 10%. L'obiettivo era abbattere le emissioni di CO2.
Il risultato? Le emissioni medie delle auto nuove vendute sono rimaste esattamente le stesse.
Si è eliminata una tecnologia che, piaccia o no, era efficiente sul fronte della CO2, per spingere un'alternativa, l'elettrico puro (BEV), che il mercato sta palesemente rifiutando. In Italia, le BEV restano inchiodate a una quota di mercato del 5%, mentre la vera risposta dei consumatori è stata l'ibrido, che oggi sfiora il 50% delle immatricolazioni.
Il segnale più inequivocabile di questa sfiducia arriva dal mercato dell'usato: il crollo verticale dei valori residui delle auto elettriche, che dopo 36 mesi valgono il 15-20% in meno delle controparti a benzina, è la prova definitiva che la scommessa "all-in" sull'elettrico è stata, per ora, persa.
👉 La mia opinione
Da quando ho iniziato a scrivere questa newsletter a settembre 2024, di annunci e previsioni ce ne sono state tante.
Dopo 10 mesi di fatto possiamo dire con la certezza di questi numeri che l’Europa ha sbagliato tutto in termini di previsioni, scelte e applicazione delle regole.
Le case europee hanno fatto addirittura peggio in certo senso.
L'analisi finale non lascia spazio a interpretazioni edulcorate. Il mercato dell'auto, specialmente in Italia, è diventato "strutturalmente più piccolo". I 1,5 milioni di immatricolazioni annue del periodo 2020-2025 non sono un'anomalia, ma la nuova normalità, un calo del 23% rispetto all'era pre-Covid.
In questo contesto, le parole di Di Loreto hanno la valenza del “buon padre di famiglia": attendere un "salvatore" – che sia un incentivo miracoloso o un'improbabile ripresa dei consumi – è una strategia suicida.
Per le aziende della filiera, l'unica via d'uscita è l'adattamento.
È necessario rendere i modelli di business più agili e flessibili, capaci di generare profitti anche con volumi inferiori. Bisogna abbandonare la tentazione del "meglio soli", perché in un mare in tempesta servono "spalle grosse", scala e velocità, che spesso si ottengono solo tramite alleanze e collaborazioni.
Per gli operatori della filiera della produzione di veicoli specie in Italia sarà davvero complicato ristrutturare i propri processi assuefatti da anni di bassi margini scambiati con volumi “costanti”.
Mentre per quello che riguarda il settore post-vendita, con l’età media dei veicoli sempre sui massimi e senza nessuna inversione di tendenza nel medio termine ci sono ancora tante opportunità da sfruttare. Ma vista la “fame” delle case di recupero di margini di certo saranno molto aggressive in questo ambito.
Solo chi saprà navigare con pragmatismo, flessibilità e la fredda lucidità dei numeri potrà sperare di raggiungere un porto sicuro.
*Fonti: Motor Valley
💸 Follow the MONEY
In questa sezione ho creato due portafogli con i titoli delle case auto tradizionali e di quelle nuove (EV e cinesi) con l’andamento dell’anno in corso (proviamo così, mi dirai se ha senso o meno).
Ritengo importante tenere sempre ben in vista i valori di questi due aggregati come una sorta di “sentiment” del settore nella sfida tra i player storici e quelli nuovi perchè è qui che si giocherà la partita nel medio e lungo periodo.
A te le valutazioni 😉
NB: i dati sono generati da Google Finance e vanno considerati solo per analizzare l’andamento in % dei due gruppi di titoli e non i valori assoluti espressi in valuta. Si sconsiglia l’uso per finalità di investimento.
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Alla prossima settimana!
Michele
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